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Giorgio Bartocci – “Architettura Liquida n. 3” New Mural in Iglesias

Ciascuno noi cela in sé un proprio e personale universo interiore. Si tratta di uno spazio intangibile, una forza attraversata da pensieri e ricordi, ma anche fragilità, paure, gioie come dolori. Me lo immagino come un flusso cognitivo, una grande matassa di emozioni, esperienze e stati d’animo che regola le nostre scelte, consciamente quanto inconsciamente, influenzando il nostro ragionare, suggerendo risposte o ricercandone altre.

C’è una sensazione che nel confronto con le pitture di Giorgio Bartocci non mi ha mai abbandonato. Una sorta di empatia tra le pitture dell’artista e la grande coscienza interiore che governa ciascuno di noi. É come se attraverso il proprio immaginario l’autore abbia dato forma e sostanza a quella grande mole di sensazioni e pensieri, riuscendo ad incanalarne l’impeto, la profondità e la varietà di consistenza ed importanza.

L’impressione é quindi quella di un dialogo con se stessi a cui l’interprete ha saputo dare tonalità è forme differenti, scendendo in profondità e confrontandosi con quegli aspetti maggiormente remoti, quasi arcaici e primitivi del proprio io.

Per tradurre ciò Giorgio Bartocci ha dato vita ad una ricerca in costante sviluppo, intrecciata con il proprio background ma proiettata nella esperienze del presente, piegata e modellata dalle suggestioni dell’autore ed al cui interno trovano il loro posto gli iconici corpi cromatici.

Essenziali nella forma e nell’aspetto, questi elementi fluiscono nello spazio riversando da una parte la loro profondità emotiva, dall’altra cambiando in modo assoluto la percezione della superficie con cui l’artista si confronta. Emerge così un camouflage di stimoli differenti, taglienti e violenti nell’aspetto, frenetici nel loro avanzare nello spazio, esattamente come una necessità che si palesa e che prende il sopravvento.

Il gesto diviene terapeutico, un automatismo il cui risultato evidenzia tutta la tensione emotiva a cui Bartocci sottopone le sue forme e dove pensieri, fragilità, angosce interiori, assumono l’aspetto di ombre e scaglie frastagliate che investono lo spazio muovendosi al suo interno, intrecciandosi a vicenda e generando così un unico e grande corpo astratto.

La forte introspezione che accompagna le produzioni dell’interprete ne muove quindi il processo, influenzando lo sviluppo pittorico dell’opera e gli stessi elementi che ne compongono e scandisco l’aspetto.

Invitato ad Iglesias in Sardegna per prendere parte al progetto IglesiaStreet, al confronto con questa grande superficie l’autore alza il tiro alimentando la personale catarsi pittorica e lasciando che la stessa investa totalmente lo spazio di lavoro. Esercitando tutto l’ascendente del proprio canale più emotivo e lasciando che lo stesso entri a contatto con la sua parte più razionale: Bartocci esplode in un articolatissimo flusso pittorico.

“Architettura Liquida n. 3” eredita tutti gli elementi tipici dell’immaginario dell’interprete. Le forme appaiono ora più complesse, spesse e di dimensione variabile. L’artista ne approfondisce la fisionomia, ne definisce le viscere attraverso una rinnovata cura al dettaglio. I colori scelti sono vicini alla terra, risultano carnali e rispettosi di quelle che sono le tonalità presenti in questa zona della Sardegna. La grande superficie viene quindi accarezzata da una danza tonale in cui le figure appaiono più grandi, guidate in un percorso di ascensione e distensione che assume i connotati di una grande forma liquida ed altamente dinamica.

L’approccio maggiormente pittorico ed il grande spazio di lavoro offrono all’autore la possibilità di insistere su ciascuna delle forme. Queste appaiono organiche e materiche, scosse da costanti sovrapposizioni e contrasti tonali, perdono (quasi) l’iconica fisionomia del volto, risultando più leggere e libere di essere interpretate a piacimento così come di muoversi leggere e corpose all’interno della superficie di lavoro.

É un architettura di pensieri, ricordi e emozioni che si agitano nello spazio influenzandosi a vicenda. É personale, perché traduce quel flusso di stati d’animo e percezioni che guidano l’artista durante il suo processo. Al tempo stesso pone tutto ciò in relazione con le suggestioni e gli scossoni emotivi che il luogo di lavoro riesce a suggerire.

Prende forma così una miscela preziosa, capace di riversarsi nello spazio restituendo una risposta agli stimoli assorbiti, esattamente come se si trattasse di un dialogo a cui l’artista prende parte aprendo il proprio subconscio, lasciando che lo stesso fluisca in modo autonomo sulla superficie di lavoro. L’opera si dimostra sensibile all’apertura di un nuovo canale, la conversazione si amplia, diviene a tre.

Da una parte l’universo interiore, il flusso di coscienza dell’autore che prende il sopravvento, dall’altra il paesaggio, l’ambiente circostante, le persone che lo vivono, i colori e le percezioni di ciò che circonda la superficie di lavoro ed infine le esperienze compiute sul posto. Lo spazio viene interrogato per raccoglierne i suggerimenti ed i sussurri, Giorgio Bartocci diviene il tramite della propria coscienza interiore arricchita ora di nuove suggestioni capaci di piegarne la forma e la profondità. L’interprete amplifica le dimensioni delle sue figure donando loro un movimento meno frenetico e caotico, più ondulato e che si traduce in una danza ipnotica, agile e composta, in grado di scuotere ed avviluppare.

L’opera nella sua interezza accoglie ed abbraccia, ma è nei suoi dettagli che siamo proiettati, letteralmente invogliati a perderci.

L’architettura di forme immaginata da Giorgio Bartocci trova nella sua liquidità la risposta alle tensioni sociali che stanno caratterizzando questo periodo. É una risposta ma sopratutto lascia fluire stimoli e reminiscenze personali, donando loro una direzione, lasciando che prendano il sopravvento. Lavorando in modo più spontaneo l’artista evidenzia tutto lo spessore e la varietà emozionale delle sue produzioni.

Bartocci non si limita a comporre il puzzle, ma ne cura il senso motorio attraverso la propria gestualità, ne impreziosisce l’aspetto ponendo in relazione colori e tonalità con fattori ambientali, gioca con gli stessi attraverso corpose sovrapposizioni, arrivando infine a comprimere forme più piccole in sezioni di pura enfasi astratta. Piccole composizioni geometriche che celano al loro interno tutta la natura, la varietà e la profondità di quell’universo personale a cui l’autore attinge costantemente e del quale ha saputo restituire un aspetto.

Giorgio Bartocci – “Architettura Liquida n. 3” New Mural in Iglesias

Ciascuno noi cela in sé un proprio e personale universo interiore. Si tratta di uno spazio intangibile, una forza attraversata da pensieri e ricordi, ma anche fragilità, paure, gioie come dolori. Me lo immagino come un flusso cognitivo, una grande matassa di emozioni, esperienze e stati d’animo che regola le nostre scelte, consciamente quanto inconsciamente, influenzando il nostro ragionare, suggerendo risposte o ricercandone altre.

C’è una sensazione che nel confronto con le pitture di Giorgio Bartocci non mi ha mai abbandonato. Una sorta di empatia tra le pitture dell’artista e la grande coscienza interiore che governa ciascuno di noi. É come se attraverso il proprio immaginario l’autore abbia dato forma e sostanza a quella grande mole di sensazioni e pensieri, riuscendo ad incanalarne l’impeto, la profondità e la varietà di consistenza ed importanza.

L’impressione é quindi quella di un dialogo con se stessi a cui l’interprete ha saputo dare tonalità è forme differenti, scendendo in profondità e confrontandosi con quegli aspetti maggiormente remoti, quasi arcaici e primitivi del proprio io.

Per tradurre ciò Giorgio Bartocci ha dato vita ad una ricerca in costante sviluppo, intrecciata con il proprio background ma proiettata nella esperienze del presente, piegata e modellata dalle suggestioni dell’autore ed al cui interno trovano il loro posto gli iconici corpi cromatici.

Essenziali nella forma e nell’aspetto, questi elementi fluiscono nello spazio riversando da una parte la loro profondità emotiva, dall’altra cambiando in modo assoluto la percezione della superficie con cui l’artista si confronta. Emerge così un camouflage di stimoli differenti, taglienti e violenti nell’aspetto, frenetici nel loro avanzare nello spazio, esattamente come una necessità che si palesa e che prende il sopravvento.

Il gesto diviene terapeutico, un automatismo il cui risultato evidenzia tutta la tensione emotiva a cui Bartocci sottopone le sue forme e dove pensieri, fragilità, angosce interiori, assumono l’aspetto di ombre e scaglie frastagliate che investono lo spazio muovendosi al suo interno, intrecciandosi a vicenda e generando così un unico e grande corpo astratto.

La forte introspezione che accompagna le produzioni dell’interprete ne muove quindi il processo, influenzando lo sviluppo pittorico dell’opera e gli stessi elementi che ne compongono e scandisco l’aspetto.

Invitato ad Iglesias in Sardegna per prendere parte al progetto IglesiaStreet, al confronto con questa grande superficie l’autore alza il tiro alimentando la personale catarsi pittorica e lasciando che la stessa investa totalmente lo spazio di lavoro. Esercitando tutto l’ascendente del proprio canale più emotivo e lasciando che lo stesso entri a contatto con la sua parte più razionale: Bartocci esplode in un articolatissimo flusso pittorico.

“Architettura Liquida n. 3” eredita tutti gli elementi tipici dell’immaginario dell’interprete. Le forme appaiono ora più complesse, spesse e di dimensione variabile. L’artista ne approfondisce la fisionomia, ne definisce le viscere attraverso una rinnovata cura al dettaglio. I colori scelti sono vicini alla terra, risultano carnali e rispettosi di quelle che sono le tonalità presenti in questa zona della Sardegna. La grande superficie viene quindi accarezzata da una danza tonale in cui le figure appaiono più grandi, guidate in un percorso di ascensione e distensione che assume i connotati di una grande forma liquida ed altamente dinamica.

L’approccio maggiormente pittorico ed il grande spazio di lavoro offrono all’autore la possibilità di insistere su ciascuna delle forme. Queste appaiono organiche e materiche, scosse da costanti sovrapposizioni e contrasti tonali, perdono (quasi) l’iconica fisionomia del volto, risultando più leggere e libere di essere interpretate a piacimento così come di muoversi leggere e corpose all’interno della superficie di lavoro.

É un architettura di pensieri, ricordi e emozioni che si agitano nello spazio influenzandosi a vicenda. É personale, perché traduce quel flusso di stati d’animo e percezioni che guidano l’artista durante il suo processo. Al tempo stesso pone tutto ciò in relazione con le suggestioni e gli scossoni emotivi che il luogo di lavoro riesce a suggerire.

Prende forma così una miscela preziosa, capace di riversarsi nello spazio restituendo una risposta agli stimoli assorbiti, esattamente come se si trattasse di un dialogo a cui l’artista prende parte aprendo il proprio subconscio, lasciando che lo stesso fluisca in modo autonomo sulla superficie di lavoro. L’opera si dimostra sensibile all’apertura di un nuovo canale, la conversazione si amplia, diviene a tre.

Da una parte l’universo interiore, il flusso di coscienza dell’autore che prende il sopravvento, dall’altra il paesaggio, l’ambiente circostante, le persone che lo vivono, i colori e le percezioni di ciò che circonda la superficie di lavoro ed infine le esperienze compiute sul posto. Lo spazio viene interrogato per raccoglierne i suggerimenti ed i sussurri, Giorgio Bartocci diviene il tramite della propria coscienza interiore arricchita ora di nuove suggestioni capaci di piegarne la forma e la profondità. L’interprete amplifica le dimensioni delle sue figure donando loro un movimento meno frenetico e caotico, più ondulato e che si traduce in una danza ipnotica, agile e composta, in grado di scuotere ed avviluppare.

L’opera nella sua interezza accoglie ed abbraccia, ma è nei suoi dettagli che siamo proiettati, letteralmente invogliati a perderci.

L’architettura di forme immaginata da Giorgio Bartocci trova nella sua liquidità la risposta alle tensioni sociali che stanno caratterizzando questo periodo. É una risposta ma sopratutto lascia fluire stimoli e reminiscenze personali, donando loro una direzione, lasciando che prendano il sopravvento. Lavorando in modo più spontaneo l’artista evidenzia tutto lo spessore e la varietà emozionale delle sue produzioni.

Bartocci non si limita a comporre il puzzle, ma ne cura il senso motorio attraverso la propria gestualità, ne impreziosisce l’aspetto ponendo in relazione colori e tonalità con fattori ambientali, gioca con gli stessi attraverso corpose sovrapposizioni, arrivando infine a comprimere forme più piccole in sezioni di pura enfasi astratta. Piccole composizioni geometriche che celano al loro interno tutta la natura, la varietà e la profondità di quell’universo personale a cui l’autore attinge costantemente e del quale ha saputo restituire un aspetto.