La Basilica di Siponto di Edoardo Tresoldi
Andare oltre. Andare oltre l’esigenza di sviscerare personali immagini o visioni creative, andare oltre la personale capacità artistica. Abbracciare e pungolare le sensazioni e le percezioni dello spettatore, immergendolo in un bagno emozionale di colori, forme ed immagini differenti.
Viviamo in un momento storico in cui tutto ciò che vediamo e percepiamo ci viene dato in pasto a velocità vorticose. Senza il tempo di una giusta digestione, passiamo ad altro, ad altro ancora, finché saturi non spegniamo i sensi. Così, giorno dopo giorno, senza un attimo di respiro, senza quella possibilità di assaporare davvero ciò che stiamo percependo ed osservando.
Ho sempre pensato all’arte come qualcosa di emozionale, in grado di scuotere e cambiare stati e sensazioni personale, intercettare determinati spiriti emotivi. Mi è capitato diverse volte di rimanere interdetto, e credo e spero soprattutto che ciò continui ad accadere, in quella che diviene una piccola ricerca personale, mai sazia.
Andare oltre significa confrontarsi indirettamente con la velocità del tempo in cui esistiamo, e di come questa vada ad influenzare inevitabilmente lo spazio fisico. Si tratta di un rapporto complesso, dove lo spazio reagisce al muoversi ed al mutare del tempo, con l’essere umano come parte sia attiva che passiva di questo costante cambiamento. L’uomo ha saputo infatti adattarsi alle variazioni del tempo e contemporaneamente ne ha accelerato l’influenza sullo spazio, attraverso la propria stessa opera attiva.
È però interessante notare come l’essere umano agisca singolarmente su soltanto uno di questi elementi. Manipola lo spazio a proprio piacimento, ma è ancora soggiogato dal tempo e dal suo ineluttabile scorrere in avanti. Ed è proprio in questo preciso punto che va a collocarsi l’ultima opera realizzata da Edoardo Tresoldi. L’intervento dà la sensazione di riavvolgere il tempo, di poterne disporre a proprio piacimento, andando a collocarsi all’interno di uno spazio fortemente influenzato dallo stesso.
Peculiarità delle produzioni di Edoardo Tresoldi è anzitutto l’intrinseca capacità di mutare in relazione all’ambiente in cui prendono vita, di relazionarsi quindi con lo stesso in modo costante e mutevole appunto.
Questo senso ‘liquido’ si pone come particolare antitesi alla rigidità strutturale attraverso la quale le opere si sviluppano. Si tratta di un intreccio di reti metalliche che vanno formare la silhouette di elementi e forme differenti. Non c’è una sostanza, anzi questi profili appaiono come vuoti, venendo unicamente ‘riempiti’ dal paesaggio circostante, che diviene inevitabilmente parte attiva, e non solo palcoscenico, nella fruizione dell’opera.
Appare chiaro come il lavoro di Edoardo Tresoldi passi per una meticolosa attività scultorea, proiettata verso una raffigurazione legata al vero ed al reale, presente nello stesso, ed al contempo così profondamente connessa con le percezioni e le sensazioni di chi osserva. Ecco la scintilla.
Il senso di ‘vuoto fisico’ delle figure proposte dall’autore italiano, viene letteralmente colmato da chi osserva, che riflette, all’interno delle stesse sagome, spunti ed emotività personali. C’è quindi un fortissimo senso di introspezione attraverso la quale Edoardo Tresoldi riesce a intercettare, il senso di meraviglia epidermica ed emozionale. L’artista ne imbriglia l’essenza all’interno delle peculiari reti metalliche, producendo un riverbero fisico, che si traduce in visioni silenti ed altamente riflessive.
La figura dell’uomo è presente, ma attraverso un aspetto vacuo, vuoto, etereo, viene svuotata della carne, posta a contatto con il panorama circostante, che ne diviene parte stessa, in una costante escalation tra vuoto e pieno, tra elemento fisico e tangibile, riflessioni personali ed astratte, che si piegano al tempo, alla luce, agli odori ed ai suoni del momento.
L’autore ha quindi saputo rivolgersi all’uomo come principale interlocutore e co-protagonista, d’altronde la natura dei suoi lavori pone lo spazio come imprescindibile elemento di spicco, e non solo scialbo contorno.
In particolare ho sempre avuto l’impressione di trovarmi di fronte ad una vibrante riflessione sul senso di isolamento e solitudine, che così fortemente stanno caratterizzando questo momento storico e sociale.
È l’atto stesso di osservare, di porsi in silenzio di fronte ad un panorama ed all’opera che dialoga con lo stesso, di non curarsi del tempo che scorre, a stabilirsi come ideale e potente antitesi verso i ritmi frenetici della società. All’illusione e l’isolamento dettato dai social network, viene contrapposta una solitudine emozionale. Il ritrovarsi con se stessi, guardarsi interiormente, scoprirsi nelle piaghe metalliche dei volti appena accennati, nei corpi che si torcono, e nei silenzi che ne avvolgono la presenza.
Se l’uomo è, ed ha continuato ad essere, spunto fisico delle opere dell’interprete Italiano, ricordiamo ad esempio la splendida collaborazione con Borondo (Covered), lo stesso ha saputo spostare la propria attenzione verso elementi più vicini all’architettura.
Nasce infatti l’idea di generare uno spazio all’interno dello spazio. Un nido percettivo ed emotivo, che al tempo stesso potesse mantenere intatto l’elemento di forte congiunzione con l’ambiente circostante. Ma c’è di più.
Questo approdo, sviluppato mantenendo inalterata la presenza fisica del fili metallici, il loro senso di esistenza non invasiva, viene pensato come spinta e propellente ad una interazione differente. Se prima infatti le opere passavano per uno sguardo d’insieme, che coinvolgeva soggetto compiuto e paesaggio circostante, ora l’intervento diventa fruibile. Chi osserva è invogliato a trapassare l’architettura generata, interagendo all’interno della stessa, in un modo, nuovo ed inedito con ciò che circonda l’intervento. Lo sguardo si posa sui dettagli e su come gli stessi dialoghino dall’interno verso l’esterno, in un nuovo step capace di raccogliere percezioni emotive differenti e del tutto nuove.
Le architetture di Edoardo Tresoldi appaiono come prive di limiti fisici, eteree, poetiche nel loro impatto interpersonale e esteriore. L’installazione realizzata a Marina di Camerota (Covered) ne rappresenta un valido esempio, quest’ultimo lavoro, alza però decisamente l’asticella, conducendoci verso una dimensione differente.
Il tempo diviene mutabile. Non c’è una DeLorean a trasportarci fisicamente all’interno di una precedente o futura sequenza temporale, è l’artista stesso che attraverso la sua opera riesce a produrre un riverbero che si congiunge al passato, riemergendo nel presente cambiato nelle viscere, restando immutato nella forma. Una dimensione nuova ed inaspettata.
Curato da Antonio Oriente, che prosegue la tradizione di progetti di altissimo profilo in Meridione, l’intervento rappresenta lo starter di un nuovo modo di fare cultura. A cavallo tra archeologia ed arte contemporanea, l’opera si prefigge anzitutto di valorizzare il sito archeologico di Santa Maria di Siponto in Puglia, attraverso una ricostruzione dell’antica basilica paleocristiana.
Unico ricordo della costruzione sono i resti di basamenti, un mosaico, alcune tombe, una dimensione schiacciata dal tempo, dal terremoto che ne ha cancellato la presenza. Una fisicità appiattita e bidimensionale che torna ora ad un nuovo slancio verso l’alto, acquistando fisicità ed una nuova terza dimensione.
È bene ribadirlo immediatamente, i volumi che costituiscono questa struttura, composti come è lecito aspettarsi da reti metalliche trasparenti, non rappresentano una mera copertura protettiva degli scavi, ma una vera e propria rilettura ed interpretazione dell’antica basilica.
Edoardo Tresoldi raccoglie qui gli aspetti peculiari del proprio operato, delle ultime incarnazioni, realizzando un installazione che per dimensioni, fisicità, e capacità emozionale, lascia interdetti.
Il dialogo con l’ambiente e lo spazio circostante, giunge qui a connettersi con il passato del luogo, ma anche con ciò che è già presente offrendo una lettura panoramica, tra presente e ciò che fu, del tutto nuova e moderna. C’è una conversazione tra la costruzione dell’artista Italiano e la Basilica minore presente a pochi passi, capace di rivelare una inedita amalgama.
Al tempo stesso l’interazione tra l’opera e l’uomo, non passa per uno sguardo passivo od una presenza labile e abulica. Ribadendo i concetti espressi e veicolati nelle ultime produzioni maggiormente architettoniche, Edoardo Tresoldi innesca una nuova interattività, un non-luogo che da astratto, diviene tangibile, fisico, capace di diventare esperienza viscerale. C’è la possibilità di esplorarne gli interni, di stimolare l’immaginazione, tentando di ricreare nella propria mente, forme, immagini e colori. La trasparenza della struttura, diviene nuovamente momento di confronto con gli elementi esterni che si inseriscono all’interno, innescando e scatenando sensazioni del tutto personali.
Cercavo una scossa epidermica, l’ho trovata in un opera che unifica aspetti tecnici ed emozionali complessi, trovandomi investito da un susseguirsi di stimoli che arrivano all’unisono, percezioni e stati d’animo eterogenei, agitazione dei sensi.
È un installazione che connette, ferma e riavvolge il tempo, ne raccoglie l’eredità amplificandone la dimensione fisica, emotiva, ambientale e percettiva.
Fotografie di Giacomo Pepe e Roberto Conte