Borondo – New Mural for St+art Delhi 2016
Il bombardamento di immagini a cui siamo sottoposti inevitabilmente coinvolge anche chi scrive, osserva e commenta le opere degli artisti. L’elevato numero inevitabilmente si traduce in una ricerca quasi ossessiva della scintilla, di un determinato lavoro che posso scuotere e lasciare interdetti. Tutto parte dal personale gusto e sensibilità, ma ci sono autori che puntualmente hanno saputo sorprenderci e proiettarci in una dimensione percettiva ed emotiva sempre differente. La ricerca quindi, ancora una volta, rappresenta un caposaldo imprescindibile. Fuoco con il quale nutrire ed evolvere l’estetica, talvolta lasciando inalterati i temi, altre volte sconvolgendo e trattando anche nuovi argomenti o stimoli.
Transizione. Ci sono periodi in cui un artista è portato a sperimentare nuove direzioni estetiche, nuovi temi ed altrettanti sviluppi pittorici in grado di evolverne la ricerca.
Inevitabilmente questi momenti sono accompagnati da una precarietà estetica, cambi alcune volte repentini, altre volte più delicati, che vengono accompagnati da sperimentazioni che non sempre trovano la giusta armonia. Sono fasi intrinseche in cui inevitabilmente ogni autore incappa e che servono proprio da propellente ideale per lo sviluppo successivo. Una scossa quindi.
La transizione ha accompagnato Borondo negli ultimi mesi. L’autore Spagnolo ha sempre rappresentato motivo di stupore, grazie alla sua capacità di toccare e pungere le corde più emotive. Di mettere a nudo, non solo metaforicamente ma anche visivamente parlando, aspetti reconditi, stimoli e stati d’animo appartenenti a ciascuno di noi. La capacità di immedesimazione, l’abilità di parlare attraverso un linguaggio universale, introspettivo, hanno sempre caratterizzato le opere dell’artista. Perfino nella sua transizione, con le opere che hanno assunto un aspetto sempre meno definito, con i fondali neri presto abbandonati, nelle scene di vita e nei soggetti scelti, l’artista ha cercato di infondere il personale diktat tematico ed estetico, alcune volte stupendoci, come l’opera dipinta a Łódź (Covered), altre volte lasciandoci con un senso di incompiuto.
Tutto l’impatto tipico di Borondo torna in questa sua ultima pittura, un opera differente da quanto siamo soliti aspettarci, profondamente inserita nell’ambiente circostante, priva di soggetti e figure umane, totalmente proiettata nel dialogo con lo spettatore.
Borondo rappresenta uno degli artisti più atipici del panorama della street art: un blog personale poco aggiornato, una pagina facebook sulla quale viene unicamente postata la mappa dell’ultimo lavoro senza alcuna immagine. L’artista ci parla invitandoci a vedere i suoi interventi dal vivo, in strada e non attraverso uno schermo, ponendosi quindi in totale controtendenza con lo spirito attuale del momento.
Internet, per la sua stessa natura, ha reso l’immagine dell’opera infinita. Si è perso il valore di effimero dell’arte in strada, quello che caratterizzava il movimento precedentemente alla sua esplosione e riconoscimento sulla rete, in favore di una velocità e ‘digestione’ degli interventi certamente maggiore. Arriva prima la foto dell’opera (spesso scattata male ) la si osserva e si passa all’immagine successiva, in un circolo continuo in cui si rischia di distogliere l’attenzione dall’esperienza, dal lavoro in se, nonché dal particolare approccio che lega una certa stilistica ad un autore.
L’astista non vuole essere condizionato dalla tecnologia e dai socials. Ne accetta la presenza ma cerca di sottrarsi il più possibile dalla loro morsa, dall’inevitabile perdita d’identità in favore di un’immagine costruita e ricamata, uno specchio non vero capace di proporre una visione distorta di sè. L’interprete sceglie piuttosto di spostare il baricentro verso l’opera. Nell’interprete vive una sorta di lotta interiore: da una parte l’esigenza di portare avanti il proprio operato, dall’altra la volontà di rimanere quanto più fedele possibile ai propri principi, disconoscendo quindi parte delle dinamiche che stanno caratterizzando il movimento.
L’artista sviluppa i propri interventi partendo dal contesto in cui va ad operare, non è legato quindi alla bellezza in sé dello spot, ma piuttosto all’esperienza stessa dell’atto di dipingere. Un romanticismo connesso al personale percorso in strada, sviluppato da sensazioni personali, dagli stimoli delle stesse, e dal rapporto dell’intervento verso chi abita un determinato luogo, capace puntualmente di trasmettere una scossa a livello emotivo.
Nel lavoro dell’artista c’è una riflessione sia sul contesto, per cui una fabbrica abbandonata non può avere lo stesso approccio di una parete in città ad esempio, sia sulla bellezza dell’arte nel senso più spirituale e non legata strettamente ai soldi.
Borondo rifiuta il sistema attuale, all’interno del quale non c’è possibilità di tessere legami con le persone, innescare la naturale condivisione del lavorare in strada. Piuttosto si va in un determinato luogo per dipingere, si finisce e si riparte, tutto in rapidità e in totale controtendenza con il vero aspetto sociale intrinseco della street art. E’ difficile lasciare intatti i propri ideali in un sistema scandito dalla velocità costante in cui conta unicamente essere presenti: dipingere dieci pareti in un mese, senza effettivamente contribuire al luogo, alla città, attraverso un lavoro sensato e in grado di raccoglierne gli stimoli, ma piuttosto arricchire il proprio e personale ego e portare avanti un lavoro basato più sulla quantità che sulla qualità.
Per Borondo l’artista moderno è più vicino ad un prodotto, legato al denaro e non strettamente allo spirito artistico, definisce il sistema dell’arte senza troppi giri di parole una sorta di ‘McDonalds’. Per Borondo lo street artist si sta trasformando in ignaro esecutore della gentrificazione, chiamato dalle istituzioni, dalle gallerie, abbagliato dall’oro mediatico, dall’esigenza di dover produrre a tutti i costi e con sempre maggiore velocità e costanza. Si sta perdendo il contatto con la gente ‘reale’ in favore della platea dei social networks. Gli autori sono portati ad assecondare i gusti del proprio pubblico, a proseguire un particolare percorso artistico condizionato dai like su facebook che si sono sostituiti ad una critica costruttiva. Siamo di fronte ad un impoverimento stilistico della scena artistica: sta venendo a mancare uno spirito di ricerca, gli stimoli differenti che possono inevitabilmente influenzare l’aspetto e l’equilibrio di un intervento.
Il risultato finale è un inevitabile staticità nell’evoluzione dello stile.
Le immagini che riempiono la rete sono sempre più il risultato del meccanismo attuale che premia la fotografia e non l’opera in sé. È più importante il filtro, la posizione, è più importante lo scatto. Si dipinge in funzione di una pubblicazione sulla rete, ponendosi in totale disinteresse verso il pubblico vero, quello che vedrà l’opera davanti ai propri occhi in strada.
L’autore Spagnolo da queste riflessioni, sceglie di vivere la strada tentando di assaporarne le esperienze, cogliendo in prima persona gli stimoli della gente, le loro storie e le emotività che riescono a offrirgli. Persegue un approccio legato ad impulsi passati ponendosi in netto contrasto con le dinamiche attuali, nelle quali non si riconosce. Rifiuta la velocità, la staticità della forma e della stilistica, l’idealizzazione dell’arte come strumento, piuttosto che come personale stimolo, e infine il condizionamento di internet.
Uno spirito non corrotto quindi, con una venatura punk, capace di porsi in controtendenza, di guardare la strada con un piglio antico, raccogliendone tutti gli aspetti catartici e reinserendoli, attraverso il proprio tratto, all’interno del tessuto urbano per il proprio piacere, per la gente, per l’esperienza, per l’arte.
L’opera dipinta per questa nuova edizione dello St+art Delhi catalizza tutta l’essenza dell’interprete. Raccoglie l’eredità di un lavoro proiettato al dialogo con il luogo, la capacità intrinseca di Borondo di relazionarsi e dialogare con lo spettatore, aggiungendo una dimensione nuova e del tutto inedita.
Il senso di trascendenza e di onirico che ha sempre accompagnato i corpi dipinti e tratteggiati dall’autore, viene ora scansato per far spazio ad un piano visivo differente. Lo Spagnolo apre qui una dimensione inedita, proiettandoci all’interno dello spazio, sfruttando la fessura della parete e la pianta rampicante come parte stessa dell’opera. Un nuovo universo, una fessura verso un mondo differente, intanto, non sporcato dalla presenza dell’essere umano.
Il compimento della bellezza dello spazio attraverso l’architettura e la natura, priva di protagonisti, priva di figure eteree. L’opera è per chi osserva, per chi vuole estraniarsi ed addentrarsi tra le colonne, per chi vuole evadere, per chi cerca la pace dei sensi, per chi soltanto per un attimo abbia voglia di compiere un balzo altrove, nel silenzio, nell’introspezione. L’interprete pone qui il suo dialogo in un ottica differente, crea l’atmosfera, il palcoscenico, lasciando lo spettatore libero di spaziare, di lasciarsi coinvolgere, di trovarsi unicamente con se stesso, abbandonandosi a pensieri e stati d’animo differenti.